Di questo formaggio tipico siciliano non si
conosce la data della primogenitura certamente parliamo di almeno un secolo.
Oggi tale produzione è ripresa con ottimi risultati. Nel 1930 Alberto
Romolotti, appassionato di caci e affini, fece un elenco dei formaggi prodotti
in Sicilia in cui descriveva il processo di lavorazione tra questi formaggi c’era
la tuma persa. A farla ritornare in auge è stato un casaro siciliano che ancora
oggi la produce sui monti Sicani tra le province di Agrigento e Palermo.
La tuma persa è ricavata
da latte
vaccino crudo che ha una particolarità unica nel panorama dei caci italiani: ha
una doppia fermentazione e comincia la sua «vita», dopo la cagliata, senza
aggiunta di sale. Il procedimento per la produzione
inizia mettendo la pasta pressa nella forma, dopo 8/10 giorni viene pulita
grossolanamente ripulendola della muffa creatasi, dopo altri 8/10 giorni viene
lavata, spazzolata e salata. Fatte tali operazioni la forma viene stagionata
per circa otto mesi a 5 metri sottoterra in locali costruiti con mattoni di
tufo che ricoprono le pareti, dopo altri sei mesi di stagionatura può essere
servita.
Viene così fuori un
formaggio compatto, equilibrato e delicato. Viene spesso utilizzato per
mantecare paste o risotti, ma può essere anche mangiato dopo i pasti con del
pane casareccio.
Sul nome di questo formaggio esiste una leggenda
in cui si racconta che dal carretto, di un carrettiere che trasportava formaggi
presso un castello di un feudatario, cadde una forma di cacio fresco che rotolò
lungo un dirupo fino a fermasi in un luogo fresco e asciutto. Dopo qualche
settimana lo stesso carrettiere passando vicino al luogo in cui si era fermata
la forma di cacio notò un qualcosa che assomigliava ad un sasso, si avvicinò
sposto quello che lui credeva fosse un sasso e si accorse che era la “tuma” che
aveva perso. Da qui il nome “tuma persa”. Intanto la tuma si era ricoperta di
muffa e aveva indurito tutta la parte esterna. Ma c’è anche un’altra spiegazione
sul nome.